La comunicazione 2.0 è essenziale ma il social media editor sta scomparendo: cosa cambia per l’Italia?

Dallo scorso maggio si fa un gran parlare della fine del ruolo del social media editor oltreoceano. Tutto inizia da un articolo di Rob Fishman su BuzzFeed dal titolo “The Social Media Editor is Dead”. Tre eventi portano l’editor di BuzzFeed (e ex social media editor a The Huffington Post) a scrivere questo pezzo: Anthony De Rosa, social media editor di Reuters, passa alla startup Circa. Nel frattempo a The Wall Street Journal due social media editor cambiano titolo: Liz Heron, che già nel 2011 aveva predetto che il suo lavoro non sarebbe più esistito in cinque anni, diventa “Editor of Emerging Media”; invece Neil Mann è adesso “Multimedia Innovations Editor”. Perchè il Wall Street Journal ha deciso di eliminare questo ruolo? Fishman sostiene che con una sempre maggiore integrazione dell’uso di Twitter e Facebook nell’attività giornalistica, verrà a mancare la necessità di avere qualcuno in redazione che si occupi solo dei social media. Insomma, la gestione dei social non è più di una sola persona, ma tutti devono inserirla nel loro lavoro.
L’articolo ha suscitato molto interesse e reazioni differenti: al The Huffington Post, sostiene Dean Praetorius, questo ruolo serve ancora. Lo stesso De Rosa pensa che sia ridicolo parlare di morte del social media editor. Anzi, nel suo blog scrive che questo ruolo è “più importante ora che mai”: per essere costantemente in prima linea nel mondo social, le redazioni hanno bisogno di una figura specializzata. Soprattutto perché la maggior parte di esse sono ancora ben lontane dall’essere ben integrate nel web 3.0 .
E in Italia? Marina Petrillo, che ne parla sul programma Alaska di Radio Popolare , è ottimista: significa che l’uso dei social media è sempre più integrato nelle redazioni. In sostanza, prima i social media editor dovevano essere la “faccia umana” sul web di grandi redazioni. Ora alcune di queste redazioni sono composte di “nativi digitali”, giornalisti e editor che usano i social network già durante la ricerca delle storie e la scrittura degli articoli, e non è più fondamentale avere un gestore unico dei social.
Cosa c’entra tutto questo con il Social Media Marketing e le aziende italiane? Se consideriamo le varie figure di social media manager, strategist, community manager, e moltissime altre, la domanda che ci possiamo porre è: accadrà lo stesso per queste ruoli?
Già adesso in Italia si assiste alla diatriba: meglio un dipendente – integrato nell’azienda, conoscitore degli argomenti e portatore dei suoi valori – o un freelance – dotato di maggiore flessibilità, esperienze differenti e un portfolio di progetti alle spalle? In ogni caso gli esperti del settore consigliano sempre, anche alle piccole e medie imprese, di non affidarsi al cugino o nipote “smanettone”, ma ad un professionista.
Dati e statistiche dicono che i social media tra le aziende italiane stanno diventando sempre più importanti, ma il loro uso effettivo nelle strategie di marketing è ancora insufficiente. In questo scenario si collocano perfettamente i professionisti del web, che possono puntare sulla scarsa conoscenza degli strumenti e sulla mancanza di preparazione nel settore dello staff aziendale.
Nelle grandi aziende, così come nelle grandi redazioni, rimarranno i manager degli account Facebook e Twitter, a dare un volto umano al brand. E’ impensabile – per il momento – immaginare una gestione alternativa. Allo staff delle PMI, per il momento sembrano mancare le competenze necessarie per integrare il marketing e i social. Ma via via che lo staff diventerà sempre più “nativo digitale” e assimilerà quelle conoscenze che ora sono prerogative degli specialisti, forse per le piccole imprese non avrà più senso affidarsi a un esterno. Dopotutto, chi meglio del proprietario e del dipendente di un’azienda è in grado di comunicare via Facebook i valori dell’azienda stessa?